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Un grande desiderio

Gesù ci dona se stesso nell’Eucaristia

di Sr M. Patrizia Innocente icms

Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immolare la Pasqua” (Lc 22, 7). Gesù sa che è giunto il giorno in cui, istituendo il Sacramento dell’Eucarestia, perpetuerà la Sua immolazione, che sta per compiersi nella Sua ormai prossima Passione, che si riattualizzerà in ogni S. Messa fino alla fine del mondo.

Si assicura che tutto sia pronto per il sacrificio che sta per fare di se stesso, donandosi ai Suoi apostoli nel pane e nel vino, di cui Egli vuole che si nutrano, dopo aver pronunciato le parole che hanno consacrato quei semplici alimenti, facendoli diventare il Suo Corpo e il Suo Sangue.

Il Signore attendeva dall’eternità di entrare in quel cenacolo e che tutto fosse finalmente pronto, per poter prendere posto a quella tavola con i Suoi. Lo capiamo da queste Sue parole che ci riporta l’evangelista Luca: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della Mia Passione, perché Io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel Regno di Dio” (Lc 22, 15-16).

Gesù desidera ardentemente la nostra salvezza, perché possiamo godere di Lui per l’eternità, ma non si tratta di un desiderio che si limita ad un Suo mero senso del dovere, legato unicamente al fatto che Dio si senta obbligato a salvarci solo per far felici noi. Non è un Dio indifferente alle Sue creature, tutt’altro: è un Dio che ci ha creato perché vuole stare con noi, la Sua gioia è amarci, non rompe la Sua alleanza con noi, anche a costo della vita, che nella Sua onnipotenza c’ha donato per poi riprendersela di nuovo e ridarci vita in Lui.

Dio è amore. Egli ama e vuole essere amato. È la legge profonda del Suo essere. Conoscerla risolve tutti i problemi. Un’anima che si tende verso di Lui non può mai importunarlo; essa Lo incanta sempre, e lei deve saperlo” (Augustin Guillerand).  

Scrive ancora lo stesso autore, un monaco certosino francese, vissuto tra il 1877 e il 1945: “Dio ci attira manifestatamente all’unione con Lui. Ora, questa unione si fa nella fede, non nella sensibilità. Abituiamoci, con atti ripetuti, a questa vita di fede che ci mette in contatto con Lui in modo estremamente reale. Evidentemente sono atti spirituali, è un contatto spirituale. Non si sente nulla, non si vede nulla, non si ascolta nulla. Spesso, al contrario, si è completamente immersi in uno stato di scoraggiante insensibilità. Allora è la vita d’inverno; ma è vita tuttavia, vita necessaria, perché non siamo in patria; l’esilio è l’esilio: bisogna saperlo accettare come Dio lo vuole e con tutte le circostanze che vuole. Questa accettazione unisce e solo l’unione conta”.

Gli atti ripetuti che alimentano la nostra unione con Dio sono i nostri costanti atti di offerta di tutto ciò che siamo e tutto quello che facciamo a Lui. Allora la nostra giornata sarà una continua immolazione di noi stessi “per Cristo, con Cristo e in Cristo” e, poco a poco, comunicheremo con i Suoi pensieri e sentimenti e ci trasformeremo in Cristo stesso: questa - scrive sempre Augustin Guillerand - “è la Messa eterna”.

È un continuo salire e risalire a quella sala del piano superiore dove il Maestro si è riunito con i Suoi discepoli, per renderla “grande e arredata” (Lc 22, 12), così che possa essere sempre più predisposta ad accogliere il Signore che si comunica a noi, perché la Sua vita viva in noi, non solo attraverso la grazia dei Sacramenti, ma anche per una crescente e costante conformazione a Cristo e ai Suoi insegnamenti: impresa che ci risulterebbe impossibile se la affrontassimo da soli. Abbiamo bisogno di Lui e Lui vuole aver bisogno di noi, per portare a compimento la Sua meravigliosa Opera: quella della nostra santificazione e delle anime.

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